Nel panorama della narrativa contemporanea, Arcano di Claudia Carrescia rappresenta un esperimento letterario audace e affascinante. Più che un libro, è un dispositivo narrativo da interrogare, una struttura aperta che invita il lettore a uscire dal binario della lettura lineare per inoltrarsi in un percorso di senso personale e mutevole. Con un approccio che mescola rigore filologico e gioco creativo, Carrescia dà vita a una costellazione di storie, voci e simboli, in cui ogni pagina è una carta e ogni carta è una possibilità. Al centro di questo labirinto narrativo si staglia la figura della morte, non come fine, ma come soglia iniziatica, principio di trasformazione e rinascita. Ne abbiamo parlato con l’autrice per comprendere la visione, il processo e le domande profonde che hanno generato quest’opera.
Arcano è un’opera che rompe con la linearità tradizionale della narrazione. Da dove nasce l’esigenza di costruire un libro che si legge come un mazzo di carte, e che tipo di lettura invita a fare?
L’esigenza nasce da una riflessione sulla frammentarietà del reale e, di conseguenza, sui limiti intrinsechi di una narrazione che voglia più o meno fedelmente rappresentarlo. La realtà è per sua natura (e per fortuna!) disordinata e caotica e la sperimentiamo attraverso continue decodifiche e ricodifiche, condizionati dai nostri (ben più di cinque!) sensi, dalla nostra storia, dalle nostre relazioni. Come riportare in narrazione un’esperienza così, senza diventare ermetici e incomprensibili, e addirittura auspicando una scorrevolezza e una piacevolezza di lettura? Giocando! Prima di tutto, scardinando questa presunta linearità e presentando uno alla volta i personaggi, con un approccio per frammenti, una sorta di “zoom” su ognuno e ognuna di loro. Quindi, contrassegnandoli con un proprio “seme”, un simbolo colorato, che compare ogni volta che quel personaggio, in vari modi, ha a che fare con le vicende di quella pagina. Arcano si può, quindi, leggere in due modi: in modo tradizionale, oppure seguendo un personaggio/seme/simbolo ogni volta che compare. La storia andrà comunque ricomponendosi. Siccome è un libricino che si legge in poco più di un’ora, suggerisco di procedere con una prima lettura comoda, quindi così come è stato impaginato. In una seconda fase, le persone più curiose possono, volendo, divertirsi a sfogliarlo, se non a rileggerlo, seguendo un seme/personaggio alla volta e riconoscendo il loro, consapevole o meno, sfiorarsi.
La morte, simbolicamente rappresentata dall’Arcano XIII dei tarocchi, è il fulcro di ogni racconto. In che modo questa figura si trasforma da evento temuto a principio narrativo?
Anche qui, la parola chiave diventa “scardinare”. Siamo culturalmente abituati a temere la morte, pur essendo l’unica cosa realmente certa delle nostre esistenze! Parimenti siamo educati a attribuirle un significato di “fine” e mai di “inizio”. Non mi riferisco a questioni del dopo-vita: quelle riguardano la fede, un campo troppo vasto e personale. La mia idea, invece, è di considerare la “fine” come qualcosa di necessario, addirittura di luminoso. Si tratta di un’esperienza che tutti noi facciamo e che, non a caso, riecheggia in molti proverbi che scaturiscono dalla tradizione popolare e, quindi, dall’esperienza umana: “tagliare i rami secchi”, “fare tabula rasa”, “piazza pulita”, “darci un taglio”. Sono azioni che inevitabilmente, a un certo preciso punto, diventano impellenti. Questo tipo di “morte” non è forse inevitabile, se si vuole girare pagina e iniziare qualcosa di nuovo? E non è addirittura auspicabile? Questa possibilità diventa in “Arcano” il principio narrativo delle varie storie che si sfiorano e si intrecciano, talvolta persino all’insaputa dei protagonisti, proprio come accade a ciascuno e ciascuna di noi, fuori dalle mie pagine.
I personaggi del libro sembrano incarnare archetipi, più che individui realistici. Qual è il ruolo del simbolo e del linguaggio nell’identità di ciascuna voce?
Siamo straordinariamente unici. Abbiamo tutte e tutti una storia, piccole ossessioni, paure, speranze, sogni. In questo senso, i miei personaggi diventano, se non archetipi, dei “campioni di umanità” che, in comune, hanno la loro unicità, quindi la loro splendente o opaca differenza. Non mi è mai piaciuto il concetto di “normalità”: chi lo definisce, questo standard? Si può mai essere “standard”? E, se pure fosse possibile, che noia! Ecco, i miei personaggi sono stressati verso una soglia di scelta: chi è ossessionato dai suoni, chi da un lutto, chi da una violenza, chi da una precipua incapacità. Si potrebbe definirli, in tal senso, “borderline”. Tutti hanno una possibilità di scelta, di resurrezione – in vita o in morte. D’altra parte, se intendiamo “morire” come “rinascere” è proprio la stessa cosa. E a mio parere è proprio in questa vita, l’unica di cui possiamo davvero essere certi, che ognuno di noi ha la possibilità di risorgere. In quest’ottica, i personaggi di Arcano si fanno simbolo della nostra umana fragilità e della nostra individuale capacità di convivere con essa (o con-morire per rinascere). Naturalmente ciascuno e ciascuna di loro sta nel mondo, come noi, con il proprio corpo e il suo linguaggio. C’è il pescivendolo romano che si esprime a modo suo – quello è forse l’esempio più evidente di una lingua ad hoc -, ma tutti usano la propria lingua, quella che hanno imparato, attraverso le esperienze di vita; una loro grammatica che si declina non solo con le parole, ma anche nella postura, nel modo di intendere sé stessi e le loro relazioni. Ecco un altro aspetto che ci fa tutti uniti, nella nostra meravigliosa diversità.
In un’opera così profondamente strutturata sul caso e sulla libertà interpretativa, qual è stato il tuo ruolo d’autrice? Ti sei sentita più narratrice, architetta o giocatrice?
Senza dubbio sono partita dal gioco – un po’ come lanciare i dadi, mescolando i personaggi e le loro esistenze e osservando come potessero, anche a loro insaputa, essere contigui. Se mi fossi fermata lì, Arcano sarebbe diventato una raccolta di racconti. Certo, un po’ lo è, ma poi è subentrata l’architetta, e la sua necessità di dare forma a quel materiale molto frammentato: ho, quindi, immaginato un fil rouge, una “trama”, appunto che, si facesse ordito e tessesse insieme quegli uomini, quelle donne (e quei cagnolini!) tra loro. In Arcano si piange, si sor-ride, si provano sollievo, malinconia, felicità…come ci succede fuori dalle pagine che leggiamo. E quindi, da narratrice, ho raccontato tutto questo.
La lettura di Arcano può far emergere nel lettore una domanda profonda: “E se ogni persona che incontriamo fosse solo una carta del nostro stesso mazzo?” Come cambia, secondo te, la nostra percezione dell’altro se accogliamo questa ipotesi?
Se fossimo carte in mano a un destino travestito da croupier, saremmo comunque responsabili delle nostre scelte, ma forse più inclini alla tolleranza – che è un valore drammaticamente dimenticato in questo momento storico. Attenzione: ciascuno può e, in un certo senso, “deve” essere l’artefice della propria felicità, attraverso le scelte che compie ogni giorno, addirittura quando si fa la spesa. Ogni scelta è un atto politico e tutti noi possiamo governarci secondo il nostro sistema di valori e nel rispetto di chi ne ha uno differente. È quello a cui mi riferivo prima a proposito della possibilità di risorgere in vita. Spesso, però, diventiamo inconsapevoli vittime della nostra storia, della nostra auto-narrazione, e così corriamo il rischio di prenderci troppo sul serio, di limitarci e, soprattutto, di dimenticare che la nostra esperienza del mondo può essere un gioco, dominato spesso da “coincidenze” (il caso è notoriamente un bugiardo!) che scombinano i nostri piani provocando spesso sorprese – anche molto piacevoli. Questo disordine è forse solo un dettaglio di superficie, frutto di un’architettura superiore? O forse no? Ecco: le nostre piccole, possibili resurrezioni possono nascondersi proprio in questo luminoso “non lo so”, che ci regala l’opportunità di vivere, e morire, godendoci tutto il viaggio.
Con Arcano, Claudia Carrescia ci consegna un’opera-labirinto che sfida le convenzioni del romanzo e ci restituisce la vertigine del mistero. In un tempo che chiede risposte rapide e lineari, questo libro ci riporta al valore dell’enigma, alla potenza del simbolo, alla possibilità che ogni frammento di vita sia parte di un disegno più grande, che possiamo solo intuire. Leggerlo significa non soltanto sfogliare una storia, ma attraversare una soglia. E ogni lettore, come ogni carta, rivela un destino diverso.
