Benvenuti sul blog del Gruppo Albatros! Oggi abbiamo il piacere di ospitare Angelo Bianco, autore del libro autobiografico “Le nuvole non hanno forma”. Un’opera che non è solo un racconto di vita, ma un viaggio tra le emozioni, i ricordi e i frammenti di un’esistenza vissuta appieno, tra luci e ombre, tra momenti di gioia e sfide difficili. Angelo, con delicatezza e profondità, ci porta dentro un mondo fatto di nuvole che mutano forma, proprio come le esperienze della vita. Le pagine del suo libro si alternano tra riflessioni intime, aneddoti divertenti e memorie di un tempo che scorre, lasciando sempre tracce indelebili. Attraverso queste cinque domande cercheremo di conoscere meglio l’uomo dietro l’autore e di scoprire cosa ha ispirato la sua penna a dar vita a un’opera così intensa e autentica.
Qual è stata la scintilla che ti ha spinto a scrivere “Le nuvole non hanno forma” e a condividere la tua vita con i lettori?
I racconti che ho scritto non muovevano dall’idea di farne poi un libro, io non sono uno scrittore. Mi piace scrivere, lo faccio ogni volta che posso, mi siedo sul divano di casa, in un momento di pausa in un turno notturno di guardia medica, io mi rilasso così. Sono memorie del mio vissuto reale che, scrivendo sui social, volevo partecipare anche ai miei amici, proprio in forza di un sentire che mi piaceva essere comune perché siamo tutti genitori, figli, amiamo il nostro lavoro, le nostre radici, le nostre tradizioni paesane. Credo di esserci riuscito, attraverso i miei racconti in tanti mi hanno scritto di aver rivissuto pagine della loro storia personale, arrivando a ringraziarmi dell’emozione evocata dal ricordo sopito. E così Sono state 10, poi 100 e anche mille di più le scintille d’amicizia che, leggendo racconto dopo racconto, mi hanno incoraggiato a farne una raccolta e, alla fine, si è acceso il fuoco, è nato il libro, a mia insaputa, perché io non sono uno scrittore.
Nella tua autobiografia ci sono molti riferimenti alle emozioni legate alla famiglia e al paese natale, Acri. Che ruolo ha avuto la nostalgia nel tuo percorso di scrittura?
Un mio vecchio prof. di Liceo, in occasione della mia prima presentazione del libro ad Acri, mi ha detto “Tu morirai di Acritudine” ed è quanto mi auguro. Scrivere di quanto è stato di quel tempo, la mia adolescenza ad Acri, è stato svuotare un armadio di ricordi, pensando di ridargli ordine emotivo e accorgermi, invece, che era tutta un’emozione, che mi ha letteralmente travolto, ma non ne avrei mai avuto percezione piena se non ne avessi scritto. Il mio primo racconto vero è “Acritano”, è arrivato in finale ad un concorso letterario a Noto e, averne così riconoscenza, a me è sembrato di restituirne qualcosa al paese che mi ha reso un bambino felice e, oggi, un uomo orgoglioso delle sue radici. No, io non ho nostalgia del mio paese perché scriverne mi riporta sulle sue piazze, con i miei amici a bere da un’antica fontana un sorso dei miei 15 anni e io sono di nuovo Acritano, lo sarò sempre.
Il tema della malattia, sia dei tuoi cari che dei pazienti, è affrontato con grande sensibilità. Come hai vissuto e gestito la sofferenza, sia fisica che morale, nelle tue esperienze?
Raccontare la sofferenza, il dolore, la solitudine della malattia, nutre la mia dimensione più umana perché ne spoglia del camice per ritrovarmi accanto a loro e averne il rispetto che il ritmo di una corsia a volte non permette. Mi sono sempre raffrontato con i pazienti come se fossero mio papà e mia mamma, sedendomi sul loro letto, stringendo le mani, ascoltando le loro esigenze che poteva essere solo un sorso d’acqua o una parola di più. Quando mi sono ritrovato ad assistere mia madre, accompagnandola nei suoi ultimi giorni di vita, il mio racconto più difficile, ho capito quanto basta poco a fare la differenza tra un uomo e un medico e anche raccontare le loro storie mi fa un uomo e un medico migliore, inneggiando alla vita e esorcizzando la paura del dolore e della morte.
Nel libro ci sono anche momenti più leggeri e aneddoti divertenti. Quanto è importante, secondo te, mantenere un equilibrio tra la gravità delle difficoltà e la capacità di ridere della vita?
La malattia ti spoglia di ogni inibizione, sei nudo davanti a quanto non sai ancora cos’è e cos’hai e ti porta allora a frequentare strade impercorribili dalla ragione sino ad arrivare in luoghi che solo la fantasia sa raccontare. È così che nascono domande, parole, gesti, rituali, pensieri che solo il sorriso sa interpretare e, lasciarsi andare in queste frequentazioni tra l’onirico e l’assurdo, rende leggera l’attesa della guarigione e ne esorcizza il dolore, riportando tutto ad una dimensione ironica perché “il malato immaginario” non è solo un film.
Se dovessi descrivere il messaggio più importante che vorresti trasmettere ai lettori attraverso la tua storia, quale sarebbe?
Ripercorrere strade antiche con gli occhi innocenti di mia figlia e con la ragione dell’uomo maturo mi ha fatto riscoprire il valore delle cose semplici, una passeggiata, una stretta di mano, un caffè, che solo un paese sa dare. Frequentare il dolore e il sacrificio, che serve a vincerla in forza della speranza di ritornare a casa, insegna il valore della vita, il piacere di un piatto di pasta al pomodoro, sdraiarsi su una spiaggia a vedere il volo dei gabbiani. Sedersi a giocare con le mie bambine, perdermi nei loro “perché”, difendermi uomo solo contro tre figlie e una moglie, educate alla superiorità dell’essere femminile, ripassare con loro la grammatica e ritrovarmi ignorante mi ha insegnato quanto sia importante vivere ogni giorno il valore della famiglia. Ho scritto un libro raccontando il medico per dire che la vita è bella, il papà per dire che la famiglia è bella e l’acritano per dire che le nostre radici sono belle e non so se è un messaggio che sono stato capace di trasmettere ma è così che io provo a vivere, no, forse non è un messaggio, è un mio promemoria.
Grazie, Angelo, per aver condiviso con noi non solo alcuni spunti del tuo libro, ma anche frammenti della tua vita e della tua anima. “Le nuvole non hanno forma” è un’opera che tocca il cuore, ricordandoci quanto sia prezioso il viaggio dell’esistenza, fatto di momenti di luce e di ombra, ma sempre carico di significato. Siamo certi che i lettori troveranno nelle tue parole ispirazione, conforto e riflessione. Ti auguriamo che il tuo libro possa raggiungere tanti cuori e che, attraverso le tue nuvole, ognuno possa scorgere un pezzo della propria storia.
