Benvenuti nel nostro spazio dedicato agli autori del Gruppo Albatros. Oggi abbiamo il piacere di parlare con Angelo Semeraro, autore de “La fontana nel parco”, un romanzo ambientato nella Modena degli anni Settanta. Attraverso gli occhi di un giovane lavoratore, ci immergiamo in un periodo storico ricco di fermento, tra proteste, sogni di cambiamento e la scoperta della propria coscienza sociale. Con uno stile diretto e coinvolgente, Semeraro ci porta nel cuore di un’epoca che ha segnato profondamente la storia italiana. Scopriamo di più su questo viaggio nella memoria collettiva e personale.
“La fontana nel parco” è ambientato in un periodo cruciale della storia italiana, gli anni Settanta. Cosa ti ha spinto a scegliere questo contesto storico per il tuo racconto?
Ho vissuto quegli anni in prima persona, il libro parla della mia storia di adolescente in una condizione lavorativa di sfruttamento, mi stavo affacciando a quella che era la vita reale, non più un gioco ma fatica, fisica e psicologica; avevo voglia di uscire da una condizione dove non vedevo nulla di buono fin dalle prime ore del mattino. Iniziavo però a capire che non potevo starmene solo in silenzio, dovevo reagire, ma come? e chi poteva aiutarmi? Quello era un periodo storico dove la protesta la si sentiva, nelle strade, nelle piazze, la televisione ne parlava quotidianamente e alla prima occasione che mi fu data la seguii, mi si stava dando la possibilità di dire quali erano le mie condizioni sul lavoro, la possibilità d’essere ascoltato e la possibilità di protestare, la cosa che mi dava la carica era non essere solo. Quel periodo storico è rimasto impresso nella mia memoria e ho voluto ricordarlo con un racconto.
Il protagonista del tuo romanzo vive una profonda trasformazione interiore a partire dal suo incontro con la ragazza dagli occhi azzurri. Quanto è importante questo personaggio per la trama e per la crescita del protagonista?
Chiamiamola prima cottarella? Lei mi aveva dato l’occasione di poter far qualcosa per uscire da quella condizione, era stata lei che mi era venuta incontro, era stata lei che mi aveva invitato a partecipare ad un incontro che mi ha mi ha poi portato a frequentare persone che mi ascoltavano, e mi coinvolgevano nelle discussioni, la vedevo come quella persona da seguire, mi aveva preso sotto le sue ali protettive in un certo modo, dico questo perché c’era chi diceva che ero troppo giovane. È stata importante fin dall’inizio, e alla fine.
Il lavoro nel forno e la partecipazione alle manifestazioni rappresentano due poli opposti nella vita del protagonista: la quotidianità e la ribellione. Come si bilanciano questi aspetti nel corso del romanzo?
Il lavoro al forno mi ha portato a cercare soluzioni ad una situazione di malessere, si doveva lavorare comunque e non potevo pensare di starmene a casa senza lavorare; avrei dovuto giustificarmi anche a livello famigliare. Non è stato facile decidere di partecipare alle manifestazioni o scioperare, quando poi dovevo giustificare la mia assenza non solo al lavoro ma anche a casa; era una situazione di forte imbarazzo e nervosismo che era presente nella quotidianità, ma come nella quotidianità era presente, il lavoro al forno – pasticceria dalle 5 del mattino alle 7 di sera. Dovevo cercare una via per poter uscire da una condizione che non mi faceva vivere la mia vita, che non voleva essere quella di non lavorare, ma di essere rispettato nei diritti che erano totalmente calpestati, ed ecco nascere la protesta e la ribellione. Nella lettura del libro c’è un miglioramento a livello lavorativo dove si vede l’opposto del lavoro al forno, ma la protesta è comunque presente.
Gli anni delle proteste in Italia sono stati segnati da tensioni e grandi speranze di cambiamento. Come hai lavorato per trasmettere l’atmosfera sociale e politica dell’epoca ai lettori?
Ho cercato un modo per trasportare il lettore in quegli anni, raccontando in poche pagine avvenimenti tragici del nostro paese, senza concentrarmi troppo su ogni avvenimento, solo piccoli flash che mettessero a fuoco comunque la drammaticità dell’avvenimento. Se mi fossi soffermato su ogni singolo episodio tragico, ci sarebbe stato tanto da raccontare, ma non volevo che il lettore perdesse la concentrazione, il filo del racconto che si basa sulla ribellione di un ragazzino negli anni 70. Ho lavorato soprattutto sui ricordi, partendo dalla mia esperienza lavorativa per poi trasportare il lettore pagina dopo pagina ciò che sono stati quegli anni.
C’è un messaggio specifico che vorresti trasmettere attraverso la storia del protagonista? Quali riflessioni speri che i lettori portino con sé dopo aver letto il tuo libro?
Certo, il mio primo messaggio è rivolto a tutti quelli che sostengono che si stava meglio una volta, come diceva la nonna di mia moglie, morta a 102 anni, a lei rispondevo: perché era più giovane e in salute, non certo per quel che ha vissuto quando le cadevano le bombe sulla testa. Devo dire che sento spesso da coetanei ciò che diceva la nonna e un po’ mi fa star male e puntualmente io ricordo a tutti loro che non sono stati i migliori gli anni 70. A quelli che non hanno vissuto quel periodo, vorrei che capissero che non si devono sedere sugli allori, e avere il coraggio di protestare se necessario, perché i problemi non si risolvano chiudendo la porta, poi ti entrano dalla finestra; vorrei anche ricordare però che la protesta, non è pari a VIOLENZA o scontro ma rispetto delle idee.
Grazie, Angelo, per averci portato dentro le pagine de “La fontana nel parco” e per aver condiviso con noi i tuoi pensieri su un periodo così complesso della nostra storia. Siamo certi che il tuo libro saprà affascinare i lettori, facendo riflettere sul passato e sul presente. Ti auguriamo il meglio per il futuro e non vediamo l’ora di scoprire i tuoi prossimi progetti letterari!
