GRUPPO ALBATROS IL FILO PRESENTA: BLU. Cronaca di un road trip in Anatolia Orientale – Matteo Capellaro

Benvenuti al blog del Gruppo Albatros! Oggi abbiamo il piacere di intervistare Matteo Capellaro, autore del libro “BLU. Cronaca di un road trip in Anatolia Orientale”. Matteo, piemontese di origine e veneto di adozione, è un viaggiatore incallito e un appassionato di avventure. Nell’estate del 2013, insieme a Morena, ha intrapreso un emozionante viaggio attraverso l’Anatolia orientale, una regione della Turchia ricca di storia e fascino. Con una vecchia Hyundai come compagna di viaggio, Matteo ha esplorato antichi siti archeologici, scoperto pittoresche cittadine, e vissuto esperienze indimenticabili che lo hanno trasformato profondamente. Oggi, ci racconterà di questa straordinaria avventura e delle lezioni apprese lungo il cammino.

Matteo, cosa ti ha spinto a scegliere l’Anatolia orientale come destinazione per il tuo road trip nel 2013?

Il Medio Oriente mi ha sempre affascinato per la sua storia, culla di antiche civiltà, ma anche per la sua posizione geografica. Ci piaceva l’idea di confrontarci con un road trip estremo costeggiando il confine con Stati non molto tranquilli in quel periodo, come la Siria, l’Iraq, l’Iran, per misurarci con i nostri limiti non solo fisici ma anche umani. Visitare un paese islamico in pieno Ramadan era cosa che non avevamo mai fatto, eravamo affascinati e preoccupati a un tempo, ma alla fine ha prevalso lo spirito dell’avventura.

La tua avventura è stata piena di sorprese e incontri particolari. Qual è stato l’episodio più memorabile del viaggio e come ti ha influenzato?

Beh, ce ne sono stati molti: il Rafting sul fiume Coruh, la conoscenza con il proprietario dell’hotel Barcellona a Yusufeli Akin Polat con cui siamo tutt’ora in rapporti grazie ai social network, sono state senz’altro esperienze importanti, ma la scintilla che ha fatto scattare in me il desiderio di scrivere questo libro è stato l’incontro con il curatore del Durupinar Geological Center sul Monte Tendurek quello relativo all’Arca di Noè. Un anziano signore disperso nel nulla in questa casupola dove tutto sembrava ricco di storia vera ma legata a fonti bibliche il che mi ha sempre fermato nel considerarla reale. Eppure, la formazione del Durupinar è tutto tranne geologica essendo di fatto troppo simmetrica ed è il calco visibile inequivocabile di una barca. Senza contare che zono state trovate nei pressi 13 ancore in pietra e dei manufatti in metallo e legno fossili. Ma non è stato tanto questo, già di per sé ricco di curiosità, quanto il fatto che a me, a noi, questo signore per qualche strana ragione non ci è sembrato reale. Complice anche la suggestione del momento, il luogo, il mito, ma quegli occhi neri e quel portamento ascetico ci hanno causato un grande turbamento. Il tempo sembrava essersi fermato, la nostra stessa presenza corporea ci sembrava essere assente di peso. Era presente in tutte le fotografie scattate negli anni 60 in cui pareva essere sulla trentina, pertanto, nel 2013 doveva avere più di 80 anni. Una volta usciti da lì, tra la meraviglia, lo stupore e il racconto del vecchio in un inglese pulito e senza accento, il silenzio tra noi è durato fino al ritorno alla tenda a Dogubayazit. Sicuramente hanno iniziato a nascere in me moltissime domande che a oggi ancora non hanno risposta, motivo che mi ha spinto a scriverne e a parlarne in un libro. Ha senz’altro influenzato e di molto la mia percezione del presente, lasciando che si facesse strada in me più spiritualità a dispetto di una mera razionalità che talvolta non è in grado di spiegare certi fenomeni.  

Durante il viaggio, hai visitato numerosi siti archeologici e luoghi storici. Quale tra questi ti ha colpito di più e perché?

Ce ne sono stati molti, il Gobekli Tepe è stato uno di quelli che più ha sconvolto le coscienze di molti soprattutto perché la sua datazione in base a reperti di ossa animali ritrovate nel sito data la comparsa dell’uomo a un periodo di molto antecedente rispetto a quello che si studia a scuola. Ma la cosa sorprendente è che di questi tempietti circolari riportati alla luce soltanto tre su venti è piena la pancia di questa collina senza alberi che ha una geomorfologia tutta particolare, tondeggiante. Sarebbero stati costruiti per seguire l’andamento della stella Sirio, e i pilastri rappresentano forme umanoidi con 6 dita su cui sono scolpiti a rilievo forme animali, vegetali e celesti. Tant’è che uno di questi, denominato 43, rappresenta incisa addirittura una data nella lingua universale dell’astronomia. È stato impressionante…

La tua vecchia Hyundai ha giocato un ruolo cruciale nel vostro viaggio. C’è stato un momento in cui hai temuto che non ce l’avrebbe fatta? Come hai affrontato le sfide meccaniche e logistiche?

Era l’auto noleggiata a Kayseri presso l’Avis. Era vecchia ma era fortissima! È stata una degna compagna di un viaggio tosto fatto di tappe che ci eravamo pianificati in Italia in condizioni di confort rispetto a quelle caratterizzate da imprevisti del viaggio vero e proprio. Inoltre, ci ha rallentati molto la realtà delle strade per lo più sterrate dell’Anatolia che ci hanno visto affrontare vari ostacoli e imprevisti, tra cui l’attacco di due cani Kangal. Ma la nostra Hyundai ha sempre resistito indenne… Per fortuna non ho dovuto preoccuparmi della sua manutenzione! 

Dopo questa esperienza in Anatolia orientale, in che modo è cambiato il tuo approccio alla vita e ai viaggi? C’è una filosofia o un principio che hai adottato grazie a questa avventura?

Beh, si, sono cambiato io, quello che è cambiato sostanzialmente è stato l’approccio alla vita, sono passato da essere un uomo pieno di paure la cui esistenza era scandita da orari fissi a un figlio del mondo e dei suoi imprevisti. Ho imparato infatti da questi ultimi, a volte a lasciarmi portare e altre volte ad affrontarli. Ho imparato la spiritualità e a costruirci una vita sopra. Attualmente sono quasi master reiki e pratico la riflessologia plantare. Da lì non mi sono fermato e negli ultimi anni ho abitato in vari luoghi, sempre adattandomi alle tradizioni della gente e vivendo come loro. In ultimo la realtà di Recoaro Terme decisamente più raccolta di quella di Milano o Verona mi sta regalando nuovi valori e sto imparando a vivere in un altro modo. L’etica del viaggio è questa anche non è solo andare e tornare, ma anche fermarsi dove più ci piace e ricominciare da zero. Nessuno ha detto che sia facile, ma vivere con leggerezza credo sia un valore fondamentale che mi ha insegnato l’esperienza in Anatolia.

Grazie mille, Matteo, per aver condiviso con noi la tua straordinaria avventura in Anatolia orientale. Le tue esperienze e le tue riflessioni ci hanno ispirato a vedere i viaggi non solo come una scoperta di nuovi luoghi, ma anche come un viaggio interiore di crescita personale. Auguriamo a tutti i nostri lettori di trovare il coraggio di intraprendere le proprie avventure con lo stesso spirito di esplorazione e curiosità che caratterizza il tuo racconto. Non vediamo l’ora di leggere altre tue storie e scoprire quali nuove destinazioni ti porteranno le tue prossime avventure. Buon viaggio e a presto!

Lascia un commento