GRUPPO ALBATROS IL FILO PRESENTA: SPECCHI DI QUALIA. Raccolta di poesie – Giuseppe Morgillo

Benvenuti al blog del Gruppo Albatros! Oggi siamo felici di avere con noi un autore che ha saputo catturare l’essenza mutevole della percezione e della realtà attraverso le sue poesie. Giuseppe Morgillo, autore del libro “SPECCHI DI QUALIA: Raccolta di poesie”, ci guiderà attraverso un viaggio nella complessità dei sensi e delle emozioni, sfidando i confini della conoscenza e della fede. La sua opera si distingue per un linguaggio autentico e per un dialogo stimolante con letterati, filosofi e la sua cerchia più intima. Oggi ci immergeremo nelle profondità di questa poetica innovativa, che si manifesta attraverso un prosimetro avvincente e un colloquio che apre le porte al significato più autentico della vita.

Lei parla di “SPECCHI DI QUALIA” come una raccolta di poesie che esplora le molteplici sfaccettature della percezione. Qual è stato il suo punto di partenza per esplorare questo tema così complesso?  

Io cerco di capire e di capire cosa c’è nella mia esigenza e nei meccanismi che ci sono dietro di essa, cosa vuol dire capire e come ciò sia possibile. L’epistemologia è e resta problematica nonostante tutto il progresso della scienza moderna ed il rischio del solipsismo e della incomunicabilità sono sempre dietro l’angolo. Da poeta provo a giocare con questi limiti conscio che, se continuiamo a scrivere, a dire la nostra, è perché una incomunicabilità di fondo rende possibile la molteplicità delle esistenze come singolari, come delle monadi qualitativamente connotate, come “qualia” appunto che più che propriamente comprendersi usando un linguaggio comune, nella migliore delle ipotesi si specchiano, restando singolarmente molteplici.

Nel suo libro, emerge una tensione tra la ricerca della verità e la soggettività della percezione. Come affronta questo equilibrio tra realtà oggettiva e interpretazione individuale?

Nella maniera più sofistica possibile probabilmente, relativizzando ogni pretesa di verità ultima che sia data o raggiungibile. La verità è un concetto linguistico, sono vere le proposizioni, non le “cose”. Quando sento espressioni del tipo “è una persona vera” mi prende sul serio un crampo mentale. Il problema semmai è che il relativismo non ha nulla di celebrativo, Ivan Karamazov ci sbatte la testa per un capolavoro intero, anticipando il manicomio di Nietzsche. Se Dio non esiste o è morto, tutto è permesso, tutto è parola dicibile. E dirla bene, in definitiva non è altro che questione di gusto. La verità ha indubbiamente per un poeta un preponderante aspetto estetico, ha un connotato sensoriale nel piacere effimero di costruirla nei propri versi. 

La sua poesia sembra essere un ponte tra diverse discipline, dialogando con letteratura, filosofia e la sua personale esperienza. Qual è il ruolo di queste influenze nel plasmare la sua poetica?

Un giorno spero potrò pubblicare le poesie adolescenziali, quelle scritte non avendo ben chiaro ancora granché di quello che avrei costruito poi come bagaglio culturale e introiettato come costruzione della persona che sono oggi. Un poeta, un artista in generale, è innanzitutto una singolarità che vuole dirsi al mondo, un uno che è aperto ai molti. Nessuno scrive unicamente per se stesso, neppure chi non vuole pubblicare. Si vuole a tutti i costi uscire dal solipsismo. Da questa esigenza nasce la ricerca. Provo a rispondere con una metafora fotografica. Ho imparato a usare la macchina fotografica perché era frustrante nel fare le foto col cellulare non riuscire a mettere nella foto che poi vedevo quello che prima i miei occhi avevano visto. Ho studiato la tecnica, ho studiato gli autori, ed ora più o meno bene riesco ad ottenere quello che vedo quando fotografo. La copertina di Specchi di quali è una foto mia per la cronaca. Allo stesso modo un poeta deve costruirsi degli strumenti per dire quello che “vede” dentro di sé. E non possono essere solo gli altri poeti questo armamentario necessario. Cioran ha scritto che non si fa arte con l’arte e, benché l’ultimo secolo affermi con forza il contrario, in un certo senso non posso che dargli ragione. Non amo l’autoreferenzialità dei circoli eletti in cui si condivide una bolle unitaria di pregiudizi sul mondo. Fare poesia oggi, secondo me, vuol dire uscire dal recinto, dalla riserva sicura della nicchia dei poeti. Fuori c’è un mondo con cui dialogare e di cui far propri i concetti. Io non posso usare le parole di Dante se Dante viveva in un universo fisico fermo ad Aristotele. Una poesia non di nicchia non può essere anacronistica. Il mio dialogo con la scienza, con la letteratura in senso lato, con la contemporaneità, in sintesi, vuole essere questo tentativo che spero sia epistemologicamente onesto nella sua futilità consapevole.

L’umanità e la maschera sociale sono temi ricorrenti nelle sue poesie. Come concepisce il rapporto tra la nostra identità autentica e le maschere che spesso indossiamo nella società?

Chi è mai autentico? Mi viene in mente la citazione pop da Fight club, ognuno è copia di una copia di una copia di una copia. Che non è altro che idealismo platonico con regressus all’infinito. Platone aveva previsto l’obiezione creando le idee come archetipi primi. E poi le cause finali, e Aristotele, etc. Oggi noi non abbiamo più nulla sopra di noi da considerare autentico, né dentro di noi. Questa cosa l’ha capita tanto l’uomo della strada che il grande intellettuale alla Proust, il pubblico mediano invece pare ignorarlo. Gli idealisti dei salotti buoni, per intenderci, ad esempio. Citato prima l’obbrobrio linguistico della espressione “persona vera”. Nessuno di noi è compiuto mai veramente e nessuno di noi è mai autentico o inautentico. Dobbiamo solo tenere insieme il centro di gravità che è il nostro io preso da tante derive in molteplici direzioni. In “Specchi di qualia” scrivo ad un certo punto “siamo o non siamo carne da manicomio?” ed intendo proprio questo: la nostra identità è la resistenza al rischio della schizofrenia che è tanto, tanto familiare ai poeti, da Holderlin alla Merini. “Quelli che non si voltano” come li chiamava Montale vivono solo di quieta disperazione, come cretini che non hanno visto la Madonna. E da un certo punto di vista: beati loro! Ricercare l’autenticità e riconoscerla come Chimera non è una gran conquista, ma se la ricerchi non hai scelta. La vocazione non è una scelta

Ci parli del processo creativo dietro la sua opera. Qual è il suo approccio nella trasformazione di esperienze personali e concetti astratti in versi significativi?

Credo di poter dire che il mio processo creativo abbia qualcosa di musicale. Mi vengono in mente delle stringhe di parole come fossero note e poi altre come a formare accordi o anche dissonanze. Quando questi richiami mi piacciono li devo mettere in forma scritta. A volte fluisce tutto di getto, scritte le parole che mi ridondavano in testa, tutte le altre seguono, a volte restano lì a languire in attesa che io le riprenda e magari senta di doverle legare ad altre che mi hanno attraversato la mente in altri momenti. Certo, ci sono alcune poesie che amo definire “furbe” che sono costruire a tavolino, partendo da un’idea ed hanno qualcosa di più architetturale. C’è da dire che prima di considerare ultimata una raccolta passo mesi a limare quello che non convince appieno il mio orecchio, per cui riconoscere le furbe da quelle musicali è complicato, a volte anche per me. Quel che è certo è che per un poeta vale senza dubbio la massima di Picasso che il talento è 8 ore di lavoro al giorno, ma il lavoro del poeta non è scrivere 8 ore al giorno, è stare in ascolto della sua interiorità 24 ore al giorno. Il che è usurante davvero. Leopardi per anni non scrisse versi e Quasimodo scrisse che una poesia al mese è troppo da scrivere. Sono totalmente d’accordo con loro benché siano mesi che sto scrivendo la media di due componimenti al giorno per un prossimo lavoro che sarà di sintesi forzatamente a questo punto.

Concludiamo questa stimolante conversazione con Giuseppe Morgillo, autore di “SPECCHI DI QUALIA”, con la consapevolezza che la sua poetica ci ha offerto uno sguardo profondo e incisivo sulla complessità della percezione e della condizione umana. Attraverso il suo linguaggio autentico e il suo dialogo con le diverse sfere del sapere, Giuseppe Morgillo ci invita a esplorare i confini della nostra esistenza e ad abbracciare la sfida di essere veri, autentici e umani in un mondo di maschere e illusioni. Grazie per aver condiviso con noi la sua visione unica e ispiratrice.

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