Benvenuti al blog del Gruppo Albatros. Oggi siamo felici di ospitare un autore che ha affrontato uno dei temi più urgenti e discussi del nostro tempo. Il suo libro, “Cronache di un’apocalisse annunciata”, è un poderoso tributo a coloro che hanno vissuto le conseguenze della recente pandemia, un racconto che intreccia testimonianze personali e documentazione drammatica. È un piacere accogliere Giuseppe Magnarapa, autore di questo importante lavoro.
Partendo dall’ispirazione dietro al suo libro, quali sono stati i principali motivi che l’hanno spinta a raccontare questa storia così attuale e significativa?
Il motivo principale è stato quello di sentirmi proiettato in una dimensione sociale che, fino a quel momento, avevo percepito come immaginifica più che realistica, appartenente al mondo della fantascienza (di cui tra l’altro, sono, anzi ero, un appassionato) piuttosto che a quello della realtà storica. In un certo senso ne sono stato risucchiato, forse per via della mia naturale propensione di medico psichiatra ad interessarmi delle storie altrui, di ogni singolo paziente, come pure del contesto ambientale cui esso appartiene o fa riferimento. E stavolta il contesto era talmente inedito e spaventoso da sconvolgere tutti gli abituali punti di riferimento adottati nel corso della mia precedente attività professionale.
Lei menziona il ruolo dei giornalisti de “La Verità” e del giornalista Roberto Mazzoni nel suo ringraziamento. Come ha influenzato il lavoro di ricerca e di documentazione per il suo libro la collaborazione con tali professionisti?
Il ruolo dei giornalisti de LA VERITA’ e di Roberto Mazzoni è stato quello di fonti informative più conformi alla mia mentalità di base imperniata sulla necessità di un atteggiamento critico e riflessivo su tutto ciò che viene dato per scontato nel campo dell’informazione, soprattutto quella medico-scientifica che più si presta alla imposizione didattica ed accademica. Il giornalismo libero ha rappresentato una fonte alternativa a quella ufficiale decisamente più propensa a sottolineare la pericolosità del virus e la necessità assoluta del vaccino. Adesso sappiamo come sono andate le cose, ma in realtà ogni medico ha sempre saputo, fin dall’inizio, che di fronte ad una patologia “nuova”( o presunta tale, visto che la polmonite interstiziale era una patologia relativamente rara, ma ben nota) è necessario attivare un ragionamento clinico che partendo dalla diagnosi differenziale, approdi alla scelta della terapia più adatta, fermi restando eventuali provvedimenti d’urgenza, come l’eventuale ventilazione forzata necessaria a salvare la vita. E, invece, il ragionamento proposto ed imposto è stato il seguente: il COVID-19 è malattia incurabile ed inguaribile: ergo, comporta un rischio elevato di terapia intensiva con ventilazione forzata ed altissime probabilità di morte per soffocamento: unica soluzione non solo possibile, ma anche risolutiva, il vaccino sperimentale appena sfornato da industrie farmaceutiche della cui onestà intellettuale e scientifica, ovviamente, non è lecito dubitare. Qualcuno ha osato obiettare che l’uso di un vaccino in fase sperimentale, a meno che non si tratti di una malattia con mortalità superiore al 90% come la virosi Ebola, dovrebbe imporre una riflessione seria su bilanci a breve e medio termine, dato che il vaccino non ha effetti positivi visibili nell’immediato e dunque va sempre posto a confronto con possibili terapie alternative, prima di affidarsi totalmente a capacità preventive supposte, ma non dimostrate, né dimostrabili, senza un’adeguata sperimentazione preventiva che coinvolga soggetti umani volontari come è accaduto con i vaccini di provata efficacia, sintetizzati nel secolo scorso. I giornalisti de LA VERITA’, dunque, hanno proposto un approccio al problema pandemico più aderente alla cultura medica tradizionale basata sulla perizia, ma anche e soprattutto sulla diligenza e sulla prudenza; mentre i reportages di Roberto Mazzoni ci hanno tenuto aggiornati sui buoni, anzi ottimi risultati ottenuti dallo stesso approccio adottato nella politica sanitaria della Florida, uno Stato USA che, tra l’altro, ha vissuto un paradossale boom economico proprio durante la pandemia; fenomeno dovuto, probabilmente, anche all’iperafflusso di neoresidenti trasferitisi da altri Stati per sottrarsi a legislazioni antipandemiche assai più rigorose e restrittive.
Il suo libro offre una prospettiva ampia sulle conseguenze della pandemia, anche oltreoceano. Quali sono state le sfide più grandi nel raccogliere e narrare queste storie provenienti da diverse parti del mondo?
La sfida più grande è stata quella di imparare a tollerare il ruolo di outsider o di “cane sciolto” che io stesso mi ero cucito addosso attraverso il mio atteggiamento critico rispetto alle posizioni ufficiali delle autorità politiche e sanitarie, essendo per di più un medico che si ostinava a ragionare in termini clinici, come le prestigiose accademie italiane ci avevano sempre insegnato, nel tentativo di valutare utilità ed opportunità di un vaccino nuovo, non sulla base di assunti scontati e predeterminati, ma in relazione al suo possibile effetto su ogni singolo individuo. Questo significa ragionare in termini clinici. In latino, clinium è il letto, quello in cui giace quel particolare malato, lui e nessun altro, il paziente con le sue irripetibili caratteristiche individuali fisiologiche e patologiche. Non esiste, in altre parole, una sola malattia che, pur nella omogeneità della diagnosi, si manifesti nello stesso identico modo in due pazienti diversi. Qualunque laureato in Medicina non potrebbe esercitare materialmente la professione se non sulla base di questo assunto.

Nel ringraziare coloro che hanno contribuito con le loro testimonianze, Lei sottolinea l’importanza della consapevolezza delle diversità umane. Come crede che questa consapevolezza possa plasmare il nostro futuro post-pandemico?
Ritengo che eventuali future pandemie dovranno essere gestite nel rispetto più assoluto delle caratteristiche psico-fisiche individuali di ogni singolo soggetto, malato o a rischio. Ma a questo punto, lasciatemi lanciare una piccola provocazione: che senso ha lavorare preventivamente su ipotetiche pandemie date per scontate e, nello stesso tempo, consentire a certi soggetti ben identificabili di portare avanti ricerche biochimiche (la cui definizione gain in function è tutto un programma) esplicitamente finalizzate non al controllo delle malattie virali, ma all’accentuazione della patogenicità del virus? Un abominio che, nella migliore delle ipotesi, può avere l’unico scopo di mantenere artificiosamente elevato il terrore mondiale da manipolare politicamente secondo le circostanze e le convenienze.
Guardando avanti, cosa spera che i lettori portino con sé dopo aver letto il suo libro? Quali messaggi o riflessioni spera che emergano da questa lettura?
Spero di aver solleticato la coscienza critica di miei eventuali lettori e di tutti noi, pazienti potenziali che, forse, potremmo imparare a discernere, tra la massa indifferenziata di informazioni che ci piovono addosso quotidianamente, quelle più idonee a ciascuno per conoscersi meglio e quindi per imparare a tutelarsi dagli immancabili punti deboli che ci affliggono e che, in qualche modo, condizionano la nostra esistenza. Lo stato di salute non è altro che un soddisfacente punto di equilibrio tra le varie anomalie psicofisiche che ognuno di noi si porta dietro nel corso della vita e che, ogni tanto, riescono a trovare un modus vivendi e a stipulare una specie di trattato di pace tra forze contrapposte, anche con l’aiuto esterno di medici esperti e di politici accorti e prudenti. È questa condizione che si definisce “salute”, non la mancanza di qualunque malattia o anomalia. Sarebbe bene che anche la politica cominci a riflettere su questo, pur rendendomi conto che essa ha una prospettiva diametralmente opposta e cioè la gestione del gruppo sociale, rispetto a quella della Medicina che, non mi stanco di ripetere, si occupa di ogni singola persona e delle sue esigenze individuali. Temo, invece, che la politica, per sua stessa natura, sia indotta a considerare il corpo sociale una massa indifferenziata da manipolare a proprio piacimento. Appare molto preoccupante e significativa, a riguardo, una frase programmatica estrapolata dalla prima edizione del libro PERCHE’ GUARIREMO: DAI GIORNI PIU’ DURI A UNA NUOVA IDEA DI SALUTE, il capolavoro del Ministro della Salute Roberto Speranza, ex Assessore all’Urbanistica di Potenza, precipitosamente ritirato dalle librerie pochi giorni dopo la sua pubblicazione. La frase suonava così: LA PANDEMIA È UNA GRANDE OCCASIONE, PER LA SINISTRA, DI RIFONDARE LA SUA EGEMONIA CULTURALE. Credo, anzi spero, che questa aberrazione ideologico- politico-sanitaria sia stata eliminata dalla edizione successiva dello stesso libro trionfalmente riproposto dall’Autore nel corso di una presentazione offerta ai fedelissimi: la stessa nel corso della quale, un paraplegico divenuto tale il giorno stesso della prima inoculazione, mentre reclamava un atto riparatorio, è stato accusato coram populo di essere stato pagato da una trasmissione televisiva per inscenare la sua provocazione.
Concludiamo qui la nostra intervista con Giuseppe Magnarapa, autore di “Cronache di un’apocalisse annunciata”. Ci ha offerto uno sguardo profondo e riflessivo sulle implicazioni umane dietro gli eventi globali che hanno segnato i nostri tempi. Grazie ancora per aver condiviso la sua esperienza e la sua visione con noi. Attendiamo con ansia i futuri progetti e lavori che ci riserverà. Buona lettura!
