GRUPPO ALBATROS IL FILO PRESENTA: Di Qua e di Là – Elisabetta Mancuso

Benvenuti lettori del Blog del Gruppo Albatros! Oggi siamo onorati di ospitare Elisabetta Mancuso, autrice del libro “Di Qua e di Là”. Una fiaba che, come vedremo, non solo affonda le radici nel passato della scrittrice, ma sgorga con un cuore pulsante che si riflette sia nelle parole che nelle immagini. La fiaba vola “di qua e di là”, un viaggio che ci conduce attraverso la costruzione di un mondo che, forse, è più reale di quanto possiamo immaginare.

Il titolo del tuo libro, “Di Qua e di Là”, sembra già portare con sé un senso di movimento e avventura. Cosa ha ispirato la tua scelta di questo titolo e come si lega alla trama della fiaba?

Come spiego nell’introduzione del libro, “Di Qua e Di Là” si riferisce in prima istanza al cuore saltellante di Libli, la fanciulla protagonista della fiaba, la cui irrequietezza la costringe a muoversi continuamente tanto da non poter tenere ferme gambe e braccia, tanto da desiderare fortemente di diventare una farfalla, libera dal peso di questo suo cuore che sembra portare i fardelli della vita. Di Qua e Di Là sono luoghi dell’anima, in cui credo ogni essere umano si imbatta, i luoghi della irrequietezza, del dolore, ma anche della speranza e della gioia, da qui la scelta della lettera maiuscola per Qua e Là. Ecco che nella fiaba questi luoghi antitetici vengono rappresentati da una parte dal giardino cinto da un cancello di luce, dove nessun uomo animato da pensieri o intenzioni negative può accedere, dall’altra parte da un paesaggio arido, buio, dove il sole ha ritratto i suoi raggi e una nebbia grigiastra e pesante lascia intravedere una serie di costruzioni tutte uguali, così come uguali appaiono i volti degli uomini di pietra, di coloro, cioè, che dominano in questa parte di mondo. Il titolo, così come la fiaba, nasce in lingua tedesca, ovvero “Hin und Her”; infatti la fiaba è stata scritta da mia nonna paterna, tedesca trapiantata in Sicilia, fiaba che solo dopo moltissimi anni ho deciso di tradurre per poi ampliare attraverso l’introduzione di nuovi elementi narrativi, di dialoghi, riflessioni e caratterizzazione dei personaggi, senza tuttavia togliere alla fiaba il suo valore contenutistico originale.

Il tuo libro è stato illustrato da Beatrice Buccheri, con cui hai condiviso un legame particolare. Puoi raccontarci di più su come è nata questa collaborazione e come l’arte di Beatrice si è intrecciata con la tua storia?

Beatrice è una mia carissima amica da tanti anni, la nostra amicizia nasce sul posto di lavoro e si consolida per una certa affinità d’intenti, nella comune scelta di dedicarsi alla famiglia e ai figli e nella condivisione del quotidiano. Con grande reciproca curiosità raccontavamo dei nostri amati studi universitari, lei parlava spesso della sua arte, dei suoi trascorsi lavorativi nell’ambito della decorazione e del trompe-l’oeil e ne parlava come di un antico focolare dal quale attingeva al solo ricordo calore e pienezza. E poi restava affascinata dalla passione che nutrivo per la lingua tedesca dietro la cui apparente durezza diceva nascondersi una strana bellezza, una sorta di anima romantica che la rendeva temibile e stupenda allo stesso tempo. Nel 2017 decisi di lavorare alla fiaba e pensai subito di coinvolgerla come illustratrice, ma ancora nessuna delle due immaginava che l’entusiasmo si sarebbe trasformato in stupore per un lavoro che strada facendo avrebbe rivelato, attraverso la scrittura e l’immagine, qualcosa di noi e in noi che ci legava profondamente e che al tempo stesso veniva guidato da una mano invisibile, quella di mia nonna, l’artefice iniziale della storia di Libli e del suo cuore “saltellante”. Le illustrazioni sono state create di pari passo alla stesura, cosa che ha reso il lavoro un lavoro unico, nel senso che storia e immagini volano all’unisono, sono inscindibili, proprio perché nascono contemporaneamente come frutto di una simultanea immersione nel mondo fantastico di Libli, laddove Beatrice, con la sua maestria e sensibilità, ha dato visibilità, attraverso l’uso dei colori e dei tratti paesaggistici e caratteriali, a quel mondo.

Nel tuo racconto, emergono temi profondi legati alla natura, alla vita e alla ricerca di bellezza e armonia. Cosa ti ha spinto a esplorare questi temi e quale messaggio speravi di trasmettere ai lettori attraverso la tua fiaba?

Natura, bellezza, armonia, sono tutti temi presenti già nella versione originale tedesca della fiaba, in antitesi con un mondo alienante, buio, dove non c’è spazio per l’armonia, intesa come armonia fra le parti, fra gli uomini, fra l’uomo e la natura. In tal senso la fiaba è molto attuale e si presta a diversi spunti di riflessione. La fiaba propone un messaggio di speranza, non solo per Libli, il cui cuore viene guarito proprio dall’unica cosa che può placare ogni irrequietezza, cioè l’amore, ma per tutti, o meglio per coloro i quali, di fronte ad un mondo alienante che vuole inglobare e trascinare con sé, riescono nel proprio piccolo mondo ancora a credere di potere vivere all’unisono con la natura creatrice, esattamente come Anders, il giovane giardiniere protagonista, che durante il suo percorso per cercare qualcosa che salvi Libli non si lascia ingannare dalle insidie, ma resta saldo nei suoi sani propositi. Bambini, ragazzi e anche adulti possono godere di una lettura che ha le caratteristiche affascinanti e coinvolgenti della fiaba, fra l’altro in questo caso arricchita da più di quaranta illustrazioni, e allo stesso tempo riflettere su alcune tematiche che oggi più che mai non vanno perse di vista.

Parli di una mano invisibile, quella di tua nonna, come l’artefice iniziale della storia di Libli e del suo cuore “saltellante”. In che modo il tuo passato familiare ha influenzato la creazione di questa fiaba e come si è manifestato nel processo creativo?

Quando nel 2017 ho iniziato la traduzione della fiaba ho cercato non solo di tradurre letteralmente ciò che mia nonna aveva scritto, ma soprattutto ho fortemente voluto rendere e restituire attraverso la scelta di una parola piuttosto che di un’altra, di una frase strutturata in un modo e non in un altro, quello che era il suo pensiero, la sua sensibilità. Questa ricerca della parola giusta al posto giusto non è stata quindi soltanto dettata dalla pura e semplice conoscenza della lingua tedesca, ma è stata anche accompagnata da quella mano invisibile, la sua, di cui parlo nell’introduzione del libro. Certamente la fiaba, così come è oggi, è il frutto di un rapporto che ha determinato la mia formazione; la grande spiritualità, di cui la fiaba è intrisa, ha contraddistinto la personalità di mia nonna e ha forgiato buona parte della mia persona. Da giovane amava molto scrivere racconti nella sua lingua d’origine e poi già alla fine degli anni 50, ormai trapiantata in Sicilia e padrona della lingua italiana, concorse e vinse per una collaborazione fissa al settimanale “Le vostre novelle”. Le sue letture su grandi temi come Etica ed Evoluzione, Scienze Umane e Cultura, erano sempre spunto di dialogo e riflessione, ma Mutti, così la chiamavo, non era solo questo ovviamente. A renderla speciale era proprio il connubio tra la sua spiritualità e la sua dedizione per l’amato marito, mio nonno Nino, i figli e i nipoti, a cui amava preparare le sue prelibatezze, salate e dolci, e il cui sapore era il vero sapore dell’amore.

Osservando il mondo che ci circonda, spesso percepiamo un’arida razionalità e un distacco dalla natura. Come vedi il ruolo delle fiabe nel contrastare questa freddezza e nel riconnettere le persone con la bellezza intrinseca della vita?

Senza dubbio il mondo che oggi ci circonda sembra purtroppo sempre più essere proteso verso una disumanizzazione dell’essere umano, verso un progressivo allontanamento dell’uomo da un equilibrato rapporto con la natura, con le sue leggi. La fiaba, intesa come genere letterario, può da un lato essere un modo per addentrarsi in una realtà fantastica in cui rifugiarsi e cercare ristoro, se non altro per dare spazio ad una sana fantasia. Ma può anche essere strumento per riconnettersi umanamente con se stessi, con la parte sana, quella che sogna un mondo migliore, dove, come nelle classiche fiabe, il bene vince sul male e il buono sul cattivo, dove il bambino che è in ognuno di noi, con la sua purezza di sentimento, prevale sulla sconsideratezza dell’adulto ormai contaminato e assoggettato dai meccanismi di una società evoluta sì, ma condizionante.

Grazie mille, Elisabetta, per aver condiviso con noi il tuo mondo incantato e le radici profonde di “Di Qua e di Là”. Ci hai regalato una prospettiva unica sulla creazione della fiaba e sul legame speciale con Beatrice. Auguriamo al tuo libro di volare ancora più lontano, portando con sé non solo magia, ma anche la profondità spirituale che traspare dalla tua dedizione alla bellezza e all’armonia. In bocca al lupo per il tuo viaggio letterario!

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