Benvenuti lettori del Gruppo Albatros, oggi ci immergeremo in un viaggio avventuroso e coinvolgente attraverso le parole di Arianna Frappini, autrice del libro “L’eternità per ritrovarsi”. Arianna ci trasporterà nella vibrante atmosfera del 1604, attraverso un’epopea di avventure, misteri e intrighi, in cui Aisha e i suoi alleati si troveranno di fronte a un nemico inaspettato, aprendo la strada a una narrazione di coraggio, amore e lotta per la giustizia.
Arianna, “L’eternità per ritrovarsi” ci porta in un viaggio avventuroso e coinvolgente nel 1604. Come hai trovato l’ispirazione per creare questo mondo affascinante e pieno di intrighi?
L’ispirazione per creare questo mondo viene da lontano, o forse sarebbe più corretto dire che viene da vicino, da molto vicino, e che sia stata influenzata da luoghi apparentemente lontani, che in qualche modo si sono avvicinati alla mia anima, ci hanno fatto presa, si sono confusi con i miei pensieri e mi hanno fatto scattare qualcosa dentro, come se ci fosse bisogno di sbloccare un meccanismo inceppato. E queste suggestioni hanno una storia lunga anni e non possono essere raccontate senza citare i due libri da cui è iniziato tutto, senza i quali neppure questo esisterebbe: uno è “La città ai confini del cielo” di Elif Shafak, un libro ambientato nel Cinquecento a Istanbul, che mi ha fatto venire voglia di scrivere su quel periodo e mi ha insegnato il fascino della città sul Bosforo, rafforzando il mio interesse già profondo per il mondo arabo, per tutto ciò che è Oriente, che ha molto da insegnare al nostro Occidente, in un legame che per me è e sarà sempre indissolubile, anche se la storia sembra intenzionata a negarlo e a soffocarlo, e l’altro è il mio, “L’ultimo dono prima di morire”, quel libro che volevo scrivere sul Cinquecento, ambientato tra Spagna e Impero turco, il naturale prequel de “L’eternità per ritrovarsi”, che racconta le storie dei personaggi vent’anni dopo e ne sviluppa le personalità e le vicende e le arricchisce con i loro figli che erano solo bambini o ancora neppure nati alla fine dell’altro. Dunque, “L’eternità per ritrovarsi” affonda certamente le sue radici nel mondo de “L’ultimo dono prima di morire”, perché, senza le fondamenta, non si può costruire il tetto e questo libro è un po’ il tetto e il coronamento di una storia iniziata nel Cinquecento e proseguita, per forza di logica, nel Seicento, precisamente nel 1604. Questa è la data perfetta, perché sono passati anni sufficienti per far crescere i personaggi che erano piccoli, ma anche perché volevo far riferimento alla guerra anglo-spagnola che mi serviva da sfondo; tuttavia, siccome volevo concentrarmi soltanto sulle conseguenze che ha in qualche modo lasciato e sugli equilibri che può aver cambiato nel frattempo, senza parlare di battaglie e scontri tra inglesi e spagnoli, ho deciso di iniziare questa vicenda nell’anno in cui quella stessa guerra sarebbe finita (a un certo punto nella storia c’è la notizia dei trattati di pace). È difficile poi spiegare in che luogo e da quale parte venga l’ispirazione, da quello che ho detto e da ciò che non so neppure esprimere, da un’infinita serie di suggestioni, di pensieri, di esperienze, di modi di essere e, non da ultimo, da un libro di una collega e amica, pseudonimo La Vedova Rossa, che con il suo “Le corsare delle Antille e l’isola delle sirene” mi ha sbloccato, mi ha fatto tornare la voglia di scrivere una storia di corsari, di avventure per mare, di navigazione e di ricerca di giustizia, è come se mi avesse fatto scattare qualcosa dentro, una lampadina che si accende e una vocina, forse la mia voce, o la voce dei miei personaggi, o quella dell’ispirazione stessa, che sussurra “perché non il seguito de L’ultimo dono prima di morire?”. E l’ho scritto, all’improvviso, ritrovando personaggi, ritornando a casa e facendo tutto in modo così naturale, così spontaneo e così leggero che credo che questa storia aspettasse solo il momento giusto per essere raccontata.
Il tuo background come poetessa ha influito sulla tua scrittura narrativa? In che modo la tua esperienza nella poesia si riflette nel tuo approccio alla creazione di romanzi?
Credo che ognuno di noi non possa fare quello che fa in modo assolutamente indipendente e slegato dalle sue altre attività, specialmente quando le cose si assomigliano o partono dalla stessa matrice e dallo stesso amore: la poesia e la narrativa sono due parti di me che finiscono senz’altro per influenzarsi, per intersecarsi, per scambiarsi suggestioni e per svilupparsi reciprocamente. Ciò che però è sicuro, almeno per me, è che esiste una parte preponderante, infatti, se mi chiedono cosa ti senti, io rispondo senza ombra di dubbio una romanziera, una scrittrice assolutamente incapace di scrivere racconti (mi affeziono troppo ai personaggi e mi serve tutto lo spazio di pagine di un romanzo per svilupparli appieno) e che ha sempre coltivato anche la poesia. Ho scritto poesie soprattutto per raccontare emozioni ed esperienze prettamente personali, per fermare momenti o solo per eternarli, ma non è il mio mezzo privilegiato, forse perché è ancora troppo breve o forse perché riesco a esprimere meglio me stessa attraverso le storie altrui. Non conosco il motivo di ciò, so solo che è stato solo un caso (o al massimo per qualcosa di più pratico) che ho pubblicato prima poesie e poi romanzi e penso che non si possa parlare per me di background poetico, se non nella misura in cui posso aver iniziato con poesie e racconti, per poi salire ai gradini della maggiore complessità del romanzo. L’approccio, invece, è assolutamente lo stesso: tanto nella poesia, quanto nella narrativa io mi affido all’istinto. Non amo progettare, fare scalette, mettere paletti. Ho un’idea più o meno elaborata per un personaggio, ho un’emozione che voglio mettere in poesia, sento l’esigenza di scrivere e scrivo. I dettagli verranno, a volte sono già tutti nella testa, altre volte si sviluppano lentamente con il fluire delle vicende. Quello che è sicuro è che a un certo punto smetto di parlare attraverso i miei personaggi e sono loro che parlano attraverso di me. Così, un istinto dopo l’altro, arrivo alla fine e il resto viene ancora dopo, la correzione, la condivisione, la pubblicazione vengono dopo, prima ci sono solo io, la scrittura, l’ispirazione, il mondo che si sospende e la sensazione chiarissima di respirare davvero.
La tua protagonista, Aisha al-Malekki al-Neimi, è una figura forte e determinata. Qual è stato il tuo processo di sviluppo del personaggio e quali elementi hai voluto porre al centro della sua storia?
Aisha è nata ne “L’ultimo dono prima di morire”, figlia dei protagonisti di quel libro, della spagnola Sara e del corsaro musulmano Fahdi ed è sempre stata quello che poi piano piano è diventata definitivamente: una ragazzina e poi una donna forte, determinata, sicura di sé, coraggiosa, con le capacità di comando e quella ferrea ostinazione del padre, con una personalità molto più inquieta rispetto a quella più tranquilla e pacifica dei fratelli. Già dalle prime apparizioni ne “L’ultimo dono prima di morire” Aisha si è sentita incompleta nella vita di campagna e di provincia della sua famiglia, ha sempre guardato con desiderio al mare e ha cercato di ritrovare, almeno con lo sguardo, l’altra parte di sé, quella paterna. Ma soltanto davanti alla consapevolezza che nessuno avrebbe mai dimenticato di chi è figlia e che qualcuno sarebbe stato disposto a ucciderla per il suo solo sangue, tradendo la fiducia di ciò che era, una ragazzina innocente che credeva nell’amicizia, si è trasformata ed è diventata pienamente quello che è e quello che sarà. È chiaro che la sua personalità deriva dal suo carattere e dalla sua indole (più o meno ereditata), ma è altrettanto chiaro che sia cresciuta e si sia sviluppata con la vita, che ha fatto altro che acuire, alla fine, la parte più vendicativa di lei: si è unita ai corsari, combattendo contro gli spagnoli, senza però dimenticare la famiglia materna, verso la quale ha provato un’infinita tenerezza e un amore immenso, incancellabili e sempre profondissimi, anche nei confronti dei suoi fratelli spagnoli, ai quali non smetterà mai di far visita e di intrecciare la propria vita alle loro. All’inizio de “L’eternità per ritrovarsi” Aisha è la capitana della flotta corsara e si porta addosso molto dolore, il più atroce e insopportabile dei dolori, ha perso in circostanze terribili l’amato marito Khalil e non ha voluto e non ha perseguito altro che la vendetta, facendosi rispettare, facendosi temere e facendo tremare di rispetto, di ammirazione e di paura i suoi nemici e i suoi marinai che per lei farebbero qualsiasi cosa. Un’altra consapevolezza, però, si fa strada nella sua personalità forte: che sta invecchiando, che non è più tanto in grado di continuare a perseguire quella vita dura e faticosa e che è giusto fare un passo indietro, scoprire i propri limiti e imparare a reinventarsi, perché non sa più cosa voglia dire vivere a terra e soprattutto vivere sentendo l’assenza e il dolore, senza possibilità di distrazioni efficaci e trovando solo nella famiglia la forza di andare avanti. E sono proprio questi i due aspetti che ho voluto mettere in risalto, due aspetti e due forze che hanno agito contemporaneamente e indissolubilmente sull’anima di Aisha: l’odio, quello che ha alimentato la vendetta e ha nutrito il suo stesso coraggio, e l’amore immenso per la sua famiglia e per i suoi marinai, senza il quale lei non sarebbe in piedi e probabilmente non riuscirebbe a sopravvivere.
“L’eternità per ritrovarsi” è un’epica di avventure, amore e ricerca di giustizia. Qual è il messaggio principale o l’emozione che desideri trasmettere ai lettori attraverso questa storia?
“L’eternità per ritrovarsi” è tante cose, è vero, e sarebbe poi difficile descriverla in poche parole o in poche frasi: è avventura, è storia di corsari, è saga famigliare, è ricerca di giustizia, è racconto di uno scontro e di un incontro tra due mondi, è la dimostrazione di come la fede possa salvare quando è conforto ed è anzitutto un modo per tornare in un luogo molto amato e conosciuto. Tuttavia, se le definizioni sono molte, ce ne è una che le raccoglie tutte, che le contiene tutte e che risalta sugli altri messaggi e sulle altre emozioni, come detto proprio dal protagonista in una frase che secondo me non ha nulla di contraddittorio. Fayyad dirà che bisogna agire per amore anche quando si agisce per vendetta ed è quel sentimento, quell’emozione, quella forza a reggere questo libro ed è questo il messaggio che voglio trasmettere e che spero di aver trasmesso: che l’amore basta, è sufficiente per superare le barriere, per riempire i cuori, per dare senso alle vite, per rialzarsi dopo le cadute peggiori, l’odio, invece, no, non basta, da solo distrugge senza ricomporre, perché l’odio forse può aiutare, ma soltanto l’amore può salvare.
Oltre alla scrittura, gestisci un blog che esplora letterature poco conosciute e la musica di Ermal Meta. Come queste passioni influenzano la tua scrittura e quali altri progetti hai in mente per il futuro?
Come dicevo, qualsiasi cosa che faccio si intreccia con l’altra e queste due passioni sono assolutamente indissolubili da me, dalla mia scrittura e anche dalla mia narrativa, hanno lo stesso stile, hanno lo stesso approccio e si nutrono dei miglioramenti nel mio modo di scrivere e di raccontare. Poi è ovvio che ogni occasione richieda un particolare taglio e un modo un pochino diverso di scrivere. Una recensione di un libro non può essere uguale al racconto di una vicenda di un personaggio, o identica al dispiegarsi delle emozioni date dalla musica. Libri senza pregiudizi è una rubrica particolare di recensioni, che partono da riflessioni generali sulla vita e sull’umanità, per poi scendere più nello specifico di un libro o di più libri e lo stile è attento, che può assomigliare a un saggio, senza però dimenticare la mia formazione narrativa e non tralasciando mai gli aspetti più romantici, più sentimentali e più idealisti, sui quali si basa la mia intera esistenza. Emozioni da lupi non è una rubrica di musica, non sono un’esperta di musica, sono solo innamorata della musica di Ermal Meta, sono una fan sfegatata e queste pagine sono il tentativo di raccontare le emozioni che provo quando lo ascolto e metterle sulla pagina bianca, per dare loro il posto che meritano e il valore che hanno e posso davvero farlo solo scrivendo e qui l’elaborazione è inesistente. Lascio molto all’istinto e alla prima stesura praticamente ovunque, ma a volte per un romanzo o per una recensione occorre maggiore chiarezza o riscrivere una frase che si capisce meglio in un altro modo, invece per Emozioni da lupi non serve proprio e mai, racconto emozioni e le emozioni di rado sono composte o troppo ordinate e credo che la maniera migliore sia lasciarle esattamente come sono state scritte la prima volta, ancora più che negli altri casi. Sicuramente in futuro continuerò a scrivere le due rubriche del mio blog e va detto che già scrivo molto più di quanto abbia pubblicato. Non so quando uscirà il mio quarto libro, al momento preferisco concentrarmi sulla mia scrittura, sui miei personaggi e sul mio ritiro personale, il resto forse accadrà, ma non ho idea di quando, dove e come, non ho fretta e spero che non ce l’abbia neppure chi ha voglia di leggere qualcos’altro di mio.
Concludiamo questa avvincente conversazione con Arianna Frappini, autrice di “L’eternità per ritrovarsi”, un romanzo che ci trascina in un vortice di avventure, amore e coraggio nel 1604. Grazie, Arianna, per averci guidato attraverso la storia avvincente di Aisha al-Malekki al-Neimi e per aver condiviso con noi la tua visione e il tuo talento nel dipingere mondi così affascinanti e coinvolgenti. Non vediamo l’ora di seguire i tuoi futuri progetti letterari e di continuare a esplorare le profondità delle tue storie e passioni attraverso la tua scrittura vibrante e appassionata.
