GRUPPO ALBATROS IL FILO PRESENTA: CIELO, APRI ARIA – Giorgio Azzena

Benvenuti al blog del Gruppo Albatros! Oggi siamo onorati di accogliere un ospite speciale, l’autore di un’opera intrigante e multiforme, Giorgio Azzena, creatore di “Cielo, apri aria”. Quest’opera sfida le categorie convenzionali, sconfinando dal libro al film, dallo spettacolo teatrale all’esperienza sensoriale. “Cielo, apri aria” è più di un semplice racconto; è un viaggio emozionante attraverso labirinti di passione, un’odissea che invita il lettore/spettatore a sondare i confini del proprio Io. Oggi ci addentriamo nell’universo di questa straordinaria creazione, esplorando il suo significato, il suo processo creativo e molto altro ancora.

Qual è stata l’ispirazione dietro “Cielo, apri aria” e quali sono i principali temi che volevi esplorare attraverso questa opera multiforme?

Eravamo al mare, ma non è detto che c’entri. Le immagini e le parole arrivano alla mente in modo inaspettato e incoerente, la maggior parte delle volte. Una sovrapposizione, una tensione che prima non sapevi ci fosse. Dicevo, eravamo al mare. (Io e la mia compagna.) Avevo portato con me una piccola agenda. Forse un segnale della mia testa, un istinto. Era agosto. Giugno e luglio non erano stati mesi troppo felici, per vari motivi. Il mare era agitato dal vento. Dalla roccia su cui sedevamo ammiravamo la sfilata di barche a vela, bianche. Un’immagine quasi banale, serena. Stavamo per mangiare. Ho guardato ancora il mare. Il vento e l’acqua. Ho sentito suonarmi nella testa, all’improvviso, la frase: “Cielo, apri aria.” Non l’ho deciso io. Non ho premeditato nulla. Non avevo idea avrei scritto un libro, dopo quell’istante. Mi è sempre piaciuto scrivere, immaginare. È da quando sono piccolo che credo alla connessione tra la mente e l’esterno, il rapporto implicito, sconnesso, irrazionale. A cinque anni, o forse prima, la memoria inganna, avevo appoggiato un tappo rosso di coca cola al mio orecchio, e da quello avevo creduto di aver sentito qualcuno, attraverso una radio, una stazione, una frequenza, una connessione interna tra la mia fantasia e una voce esterna. Sono figlio unico, magari ha aiutato anche quello. Ma adesso non c’entra. Ho sempre scritto, ho sempre guardato alle cose, e posto fin troppe domande. Mi interessano più le domande, delle risposte. Cielo, apri aria è un libro pieno di domande, e di voci, di connessioni, di personaggi, di sovrapposizioni tra i piani. La rappresentazione di come la mia mente ha lavorato negli anni. Immagini, video, introspezioni e divagazioni. Così anche le varie forme, il teatro, il cinema. Sono mezzi per animare il reale in una vita a parte. Amo gli sdoppiamenti, la percezione di identità differenti all’interno di un’unica persona, così come esistono diversi narratori in questo libro. Seguire la bellezza spinti da venti differenti, voci, istinti, agire per la bellezza, per la purezza, senza sapere se si riuscirà a raggiungerla. O fuggire! Scappare dai testi, improvvisare, infuriarsi, inveire. Ci sono molti temi in questo libro, molte domande, e le risposte, se ci sono, variano da lettore a lettore. Non esiste un messaggio unico, una sola interpretazione.

“Cielo, apri aria” è una fusione di diversi medium artistici. Qual è stata la sfida più grande nel tradurre la tua visione da libro a film e spettacolo teatrale?

L’unico modo che ho di tradurre i pensieri, le improvvisazioni, è quello di seguirne il flusso. Quando sogniamo non sappiamo esattamente perché la nostra mente abbia proiettato una determinata persona in un determinato spazio, sebbene ci risulti naturale, o estraniante. I luoghi hanno una loro forza e ci richiamano. Le metafore sono stanze in cui far emergere le somiglianze, le connessioni tra le parole e le emozioni, le sostanze ed i loro diversi stati? Una ninfa in un porto piange al telefono col padre. Una ragazza beve acqua per inghiottire se stessa e nuotare in una dimensione che le dia pace. Ci sono situazioni reali, o surreali, che traduciamo a teatro, o in uno schermo di un cinema, per studiarne i punti di vista, e poterle comprendere, poter empatizzare con esse anche se non ci sono capitate direttamente. La fantasia si lega all’esperienza in modi che non possiamo predire. L’importante è non tradire quello che senti. Non ho utilizzato scalette, o mappe. Non ho mai deciso, prima di iniziare a scrivere, che un personaggio dovesse trovarsi esattamente lì, in quella posa, per una ragione che dipendesse unicamente da me. Non c’è qualcosa di conveniente, nell’indurre o forzare un’azione. Come a teatro, come al cinema, esiste l’improvvisazione, l’intuizione, il cogliere le emozioni di un attimo e trasportarle in scena. La stessa cosa è successa a me, nell’alternare le diverse forme di espressione, i media, le location e l’intreccio delle storie in unico libro.

L’opera sembra giocare con concetti di realtà e sogno, spingendo il lettore/spettatore a interrogarsi sulla natura stessa della percezione. Come hai affrontato questa dualità durante il processo creativo?

Il sogno, l’immaginazione, la rilettura di una situazione sono inevitabili per l’essere umano, così come per un personaggio. Non esiste un’azione, senza l’idea che questa provochi un determinato risultato nel tempo e nello spazio. L’attività preferita della nostra mente quando ci troviamo a letto e non riusciamo a dormire è proprio quella di interrogarci sul significato di ciò che ci circonda e di quello che facciamo. È un continuo processo di elaborazione e analisi, la percezione. Così come quando ci svegliamo da un sogno con la sensazione che fosse reale. “Se solo fosse stato…”. I nostri sensi possono essere ingannati. Nel libro le possibilità si accavallano in una linea temporale che prevede diversi narratori, in una sorta di competizione a dispetto dell’unico spazio-tempo reale che noi percepiamo, leggendo. Da queste si dipanano infinite possibilità e realtà parallele. Un personaggio è lì, ma anche altrove. Il sarebbe potuto essere esiste, fino a prova contraria. Così che si ha la sensazione di star leggendo, o vivendo in un sogno. Ci saranno personaggi che non riusciranno a sfuggire a questa condizione, e altri che, ribellandosi all’imposizione dall’alto, troveranno nella realtà la felicità di esistere, di provare, ed ascoltare. Usciranno dal libro stesso, per vivere.

Il colore rosso appare come un simbolo ricorrente in “Cielo, apri aria”. Puoi condividere con noi il suo significato e il ruolo che svolge all’interno della narrazione?

Il rosso è il sangue, è un colore primordiale. Il rosso, per chi sta male, è insopportabile da guardare. È un colore che ci attrae ed è impossibile non notare. È il primo colore che individuiamo, in mezzo agli altri. Fa accelerare il nostro battito cardiaco, ci può causare ansia. Essere intrappolati in uno spazio rosso, soprattutto se in una condizione di disagio, o di sospensione, di incertezza, è una prova esasperante. Ci induce all’iperattività, o alla violenza. Il rosso, per paradosso, è anche il colore dell’amore, della passione. Le due cose si possono combinare, provocando in noi reazioni inaspettate, idee fuori dal normale. Questo è quello che succede ad alcuni personaggi del libro. Sono intrappolati in un labirinto rosso, tra paura, ossessione e amore, senza essere certi di trovare una via sicura, che li conduca fuori.

“Cielo, apri aria” è un’esperienza artistica che coinvolge una varietà di personaggi. Qual è stata la tua strategia per rendere ciascun personaggio unico e significativo all’interno della trama complessiva?

Mi piace pensare che in ognuno di noi esistano molteplici identità, sfaccettature, voci contrastanti, figure che non combaciano e spingono in direzioni diametralmente opposte, senza che ci sia un verso che si possa definire migliore. Conviviamo in tanti, in uno stesso corpo. Perlomeno questa è la mia esperienza. E mi piace confondermi. O meglio, molto spesso la coerenza mi confonde. Non riesco a decidere. Questo mi aiuta nel creare personaggi reali, e nell’accogliere voci impossibili nella mia testa. I personaggi sono frutto della mia vita, del mio vissuto, di esperienze che non ho mai provato, a cui non avevo mai pensato prima. Cielo apri aria è il connubio di questi incontri. Un testo corale, che vaga e sonda diversi spazi, attraverso gli occhi di diversi personaggi ognuno con le proprie concezioni, voglie, vizi, paradossi. L’unica verità è il cielo che li sovrasta, l’istinto che li spinge a volerlo superare.

Grazie mille, Giorgio Azzena, per aver condiviso con noi la tua visione affascinante e innovativa di “Cielo, apri aria”. È stato un vero onore esplorare i segreti e le sfide dietro questa straordinaria opera. Non vediamo l’ora di vedere come il tuo lavoro continuerà a ispirare e incantare il pubblico in futuro. Buona fortuna per tutti i tuoi progetti artistici in corso!

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